Lo chiamavano “El tigre
del bandoneón” anche per l’impeto passionale con il
quale suonava, capace di far esplodere il suo strumento e
di ridurlo ad un ombrello rovesciato dall’uragano. Ma Eduardo
Arolas è il “Gardel della musica” e non è certo
famoso soltanto per questo. Come musicista ha composto il
suo primo tango a 19 anni (Una noche de garufa)senza saper
distinguere una nota dall’altra. Poi, dopo la scuola, è
divenuto quello che gli argentini definiscono un “creatore”.
Eduardo Arolas (in realtà Lorenzo Arola) era capace
di comporre tanghi uno dopo l’altro senza fermarsi mai, in
un certo senso inseguito da Roberto Firpo che si affrettava
poi a registrarli.
Ha sperimentato l’impiego del violoncello, del contrabbasso
– forse contemporaneamente a Canaro- e persino della batteria,
però subito dimenticata. Ha trasformato il tempo del
tango dal 2x4 al 4x8 (nel 1917 o anche un po’ prima) individuando
un ritmo poi universalmente riconosciuto per esprimere tutto
ciò che un tango dice. Inoltre ha strappato fuori dal
suo bandoneon quelle voci musicali poi adottate da ogni altro
grande compositore: le voci di una grande tristezza, nostalgia,
dolore. Ma anche sentimento, emozione. Si potrebbe dire la
musica dell’amore che Arolas voleva condividere soprattutto
con il violino. Il suo tango più celebre è El
Marne, il più ballato è La Cachila o Derecho
vejo, ma il suo capolavoro è Maipo, un’autentica sinfonia
piena di forza e di vittoria, di slanci e di espressioni a
ventaglio.
La sua vita, davvero breve (1892-1924) è stata un vero
tafferuglio. Un giorno ha conosciuto in una casa di piacere
una ragazza: l’ha portata via, l’ha sposata, è l’unica
donna che ha amato sino all’ultimo istante anche quando lei
l’ha tradito per mettersi con suo fratello. Ma all’amore per
Delia ne ha sovrapposti veramente tanti altri e di ogni tipo.
Era bellissimo, aveva uno sguardo magnetico, era un artista. Gli bastava un minuto per conquistare
una donna. Ma ha vissuto anche molti amori appena sussurrati,
forse solo sfiorati o pensati. Disegnatore e caricaturista
( le copertine di alcune partiture provengono dalle sue matite)
ha lasciato presto queste attività per vivere ovunque
vi fosse la sua musica, bettole, caffè, saloni, teatri,
case aristocratiche. Amava vestire in modo elegante e ricercatissimo,
tanto da stupire persino i raffinati ambienti parigini. E
quando ha avuto bisogno di un’automobile ha Informazioni to
la più bella, una Amilcar, come il re di Spagna. A Parigi ha incontrato Isadora
Duncan, fischiata a Buenos Aires, e pittori e intellettuali
surrealisti. Prima aveva suonato per sei mesi allo Sporting
di Montecarlo. Era giovane ma si sentiva se non vecchio, come
escluso dalla vita: la sua amata Delia non c’era più
e quindi non c’era più nulla che potesse attrarlo.
Si è lasciato morire di tubercolosi ma forse soprattutto
d’alcol e di dolore.
Il
libro è stato scritto dopo cinque anni di ricerche
incrociate: sono 384 pagine che si aprono con le parole
di due grandi personaggi del tango, quelle di José
Gobello, il presidente de l’Academia porteña
del lunfardo e di Gabriel “Chula” Clausi, l’ultimo grande
del bandoneon che ha scitto le poesie di molti suoi
tanghi senza essere un poeta. Ma è stato un modo
per stare più vicino al musicista che più
ha amato.